La libertà dell’ebook

Leopardi, i diaschevasti, Omero e Dante.

Il libro digitale permette allo scrittore di realizzare il desiderio di indipendenza e di recare al mondo un’opera senza tagli (imposti). Tutto ciò ha ragioni e implicazioni profonde: si incrociano i motivi della libertà di pensiero – e della libertà di creazione – colti nel loro arduo cammino storico.


Le ipotesi di Leopardi, che riportiamo qui di seguito, circa “gli interventi” dei poteri delle rispettive epoche fatti nient’altro che alle basi della nostra cultura: Omero e Dante, al di là del loro grado di realtà, ripropongono i problemi di rispetto dell’opera creata, con le sue caratteristiche peculiari, le sue proprie follie e le sue proprie eccedenze, cosa che non riguarda solo i roghi delle ere religiose e i tagli inferti, a tante opere, dai regimi politici del nostro recente passato. Si tratta, piuttosto, di un atteggiamento, un vizio culturale persistente, e che sembra essere in stretto rapporto con la natura stessa del libro storico, a partire dalle condizioni strumentali che hanno fatto sì che i rapporti di dipendenza fra autore e poteri non fossero qualcosa di preferibile ma l’unica strada per permettere all’opera di essere nel mondo.


L’ebook, invece, si muove con agilità nei nuovi contesti sociali in mutazione, e va oltre le pratiche selettive e le impedenze materiali e ideologiche che hanno segnato a fondo la nostra storia estetica e umana, la quale rivela una vera e propria ombra, un vero e proprio “complesso” del libro di carta, da analizzare a fondo: il “Complesso di Brossura” .


Nella rivoluzione digitale il libro c’è, lo si fa dal basso, lo si distribuisce ovunque, lo si custodisce tutto intero come è stato concepito. “La pittura è più forte di me, mi fa fare quello che vuole”, diceva Picasso, indicando il valore dell’opera d’arte autentica, quella sua carica auto-elettiva, che le arti, dopo mille battaglie, sono riuscite a far riconoscere al pubblico come valore primo: il diritto dell’ispirazione di operare al di fuori della compiacenza ed essere, proprio per questo altro piano prospettico, di valore universale; aderendo nulla più che a se stessa e alla propria spinta elaborante. Questo non è poco, anzi è quasi tutto, ed è finalmente possibile che anche nel mondo delle lettere ci sia, di fatto, una simile condizione, base della diversità feconda e del nuovo atteso.


Ecco Leopardi cosa scrisse in difesa dell’indipendenza della potenza creativa, in quel forziere di cuore, intuizione e spregiudicatezza, che è lo Zibaldone:


“Io ammetto assai volentieri che Omero, non avendo nessuna idea di quello che fu poi chiamato poema epico, né anche avesse alcun piano o intenzione di comporne uno, cioè di fare una lunga poesia che avesse un principio, mezzo e fine corrispondenti, che formasse un tutto rispondente ad un certo disegno, che avesse una qualunque circoscritta e determinata unità. Credo che incominciasse le sue narrazioni dove ben gli parve, le continuasse indefinitamente senza proporsi una meta, le terminasse quando fu sazio di cantare, senza immaginarsi di esser giunto a uno scopo, senza intender di dare una conclusione al suo canto, nè di aver esaurita la materia o de’ fatti, o del suo piano, che nessuno egli n’ebbe.


Aggiungo che credo ancora che i suoi versi fossero ritmici, non metrici, fatti cioè ad un certo suono, non ad una regolata e costante misura; alla quale (mediante però l’ammissione di quelle loro infinite irregolarità ed anomalie, che furono chiamate e si chiamano eccezioni, licenze, ed ancora regole) fossero ridotti in séguito dai diaschevasti ec. Così è probabile che originalmente e nell’intenzione dell’autore fossero ritmici i versi di Dante, ridotti poi per lo più metrici nello stesso secolo, 14°”.


Massimiliano Falcioni